Giovedì della XIX settimana del tempo ordinario
La splendida parabola che Gesù ci regala, prende avvio da una domanda di Pietro.
Lui, uomo concreto, ex-pescatore di Cafarnao, vuole una regola precisa sul perdono, un limite oltre il quale il discepolo si possa sentire esentato dal concedere il perdono.
Il buon Pietro parte da una misura alta: più del doppio di quanto imponeva la legislazione rabbinica che bloccava a tre il numero massimo del perdono fraterno.
Pietro crede di abbondare, magari si aspetta pure un complimento dal Rabbì e invece…
Settanta volte sette,
dice Gesù,
cioè un perdono illimitato,
senza misura.
Siamo oltre il buon senso.
La regola di Gesù è paradossale, ovviamente non ispirata ad un modello umano o ad una misura terrestre,
ma al perdono stesso di Dio.
Questo è il centro:
dobbiamo perdonare
senza calcolo e senza misura
perché Dio ci ha perdonato
senza calcolo e senza misura.
Il perdono di Dio è motivo e modello dello stile di fraternità che deve regnare nella comunità cristiana.
La parabola di Gesù di oggi vuole mettere in luce proprio questa dinamica di verità sul cuore dell’uomo:
il servo è condannato perché tiene il perdono per sé,
perché la sua vita non è stata trasformata da quell’amore ricevuto gratuitamente.
Il testo della parabola sottolinea fortemente la sproporzione tra i due debiti.
Il primo servo si trova a dover trattare su una cifra pari a diecimila talenti. L’ammontare del debito è volutamente esagerato:
il valore di un talento variava tra ventisei e trentasei chilogrammi d’oro,
cioè la paga di un operaio per seimila giornate di lavoro, pari a diciassette anni di retribuzione.
Quindi diecimila talenti equivalgono a centosessantaquattromilatrecentottantaquattro anni di lavoro!
Questa è la somma che il re condona al suo servo, andando ben oltre la richiesta di dilazione del pagamento del debito che gli era stata fatta.
Buon cammino…
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 18,21-19,1
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?».
E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
Terminati questi discorsi, Gesù lasciò la Galilea e andò nella regione della Giudea, al di là del Giordano.