DIOCESI DI CALTANISSETTA

Salmo 141 (140) – Preghiera nel pericolo

 

Signore, a te grido, accorri in mio aiuto;

porgi l’orecchio alla mia voce quando t’invoco.

La mia preghiera stia davanti a te come incenso,

le mie mani alzate come sacrificio della sera.

Poni, Signore, una guardia alla mia bocca,

sorveglia la porta delle mie labbra.

Non piegare il mio cuore al male,

a compiere azioni criminose con i malfattori:

che io non gusti i loro cibi deliziosi.

Mi percuota il giusto e il fedele mi corregga,

l’olio del malvagio non profumi la mia testa,

tra le loro malvagità continui la mia preghiera.

Siano scaraventati sulle rocce i loro capi

e sentano quanto sono dolci le mie parole:

Come si lavora e si dissoda la terra,

le loro ossa siano disperse alla bocca degli inferi”.

A te, Signore Dio, sono rivolti i miei occhi;

in te mi rifugio, non lasciarmi indifeso.

Proteggimi dal laccio che mi tendono,

dalle trappole dei malfattori.

I malvagi cadano insieme nelle loro reti,

mentre io, incolume, passerò oltre.

Commento

Si preferisce parlare genericamente di “preghiera del mattino”, circa questo salmo, ma è certo che ha un sottostante tessuto storico.

Il salmo presenta un parallelo tra la preghiera e il culto nel tempio; la preghiera del salmista e la sua lode a Dio sono pienamente suppletive al culto rituale del tempio: “La mia preghiera stia davanti a te come incenso, le mie mani alzate come sacrificio della sera”.

Sono presenti orrori di guerra: “Siano scaraventati sulle rocce i loro capi” e il salmista ne è contemporaneo, ma ha la speranza che le sue parole in tanta tragedia vengano ascoltate: “sentano quanto sono dolci le mie parole”.

Gli empi hanno vita comoda, e tentano il salmista di passare dalla loro parte: “L’olio del malvagio non profumi la mia testa; tra le loro malvagità continui la mia preghiera”.

Cercando di collegare questi dati si può arrivare ad un quadro plausibile.

Il salmista è un esule a Babilonia facente parte della seconda deportazione (2Re 25,8). Egli ha visto capi religiosi di Israele, macchiati di idolatria, buttati giù nel precipizio in cui scorre il Cedron (Cf. 2Cr 25,12).

“Sono dolci le mie parole” dice il salmista, scegliendo le parole più incisive per far ravvedere quegli idolatri (Cf. Ez 8,4-18).

I seguaci di questi capi divennero dei kapò al servizio dei Babilonesi, contro i veri Israeliti. Questo nonostante quello che avevano visto fare ai loro capi; il che vuol dire che avevano abdicato ad ogni idealità.

Il salmista fedele si trovò nella situazione di essere vigilato da questi connazionali asserviti al nemico e di domandare a Dio di essere vigilante nel non pronunciare parole che sapessero di ribellione al potere di Babilonia, che sarebbero immediatamente riferite: “Poni, Signore, una guardia alla mia bocca, sorveglia la porta delle mie labbra” Questi empi, non solo sono pronti a riferire, ma cercano di provocare reazioni di ribellione: “Proteggimi dal laccio che mi tendono, dalle trappole dei malfattori”.

Il tessuto esistenziale del salmo è dunque drammatico e presenta una situazione che purtroppo si ripete tante volte: traditori che passano al servizio del nemico, diventano i vigilanti crudeli dei compagni. Il salmista subisce pure la pressione di desistere dalla sua fede; ma preferisce il rigore dei giusti, la correzione dei giusti, che rimangono fedeli all’alleanza, ai beni che gli vengono prospettati: “Mi percuota il giusto e il fedele mi corregga, l’olio dell’empio…”.

In tale situazione il salmista si rivolge a Dio per trovare rifugio in lui, pace in lui: “In te mi rifugio, non lasciarmi indifeso”.

Ma il salmista vede anche che gli empi rimangono vittime della loro malvagità, poiché vengono disprezzati da coloro che stanno servendo, e cadono sotto le loro mani: “I malvagi cadono insieme nelle loro reti, mentre io, incolume, passerò oltre”.

Il tessuto esistenziale del salmo, come quello degli altri salmi, è capace di significare tante altre simili circostanze drammatiche.

La nostra preghiera è in Cristo; è rivolta al Padre in spirito e verità. Essa è veramente come incenso che sale, e come soave odore dell’offerta di noi stessi sull’altare del nostro cuore, dove arde la fiamma dello Spirito Santo.

Magnificat

L’anima mia magnifica il Signore *

e il mio spirito esulta in Dio,

mio salvatore,

perché ha guardato l’umiltà

della sua serva. *

D’ora in poi tutte le generazioni

mi chiameranno beata.

Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente *

e santo é il suo nome:

di generazione in generazione la sua misericordia *

si stende su quelli che lo temono.

Ha spiegato la potenza

del suo braccio, *

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

ha rovesciato i potenti dai troni, *

ha innalzato gli umili;

ha ricolmato di beni gli affamati, *

ha rimandato i ricchi a mani vuote.

Ha soccorso Israele, suo servo, *

ricordandosi della sua misericordia,

come aveva promesso ai nostri padri,*

ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.

Gloria al Padre e al Figlio *

e allo Spirito Santo.

Come era nel principio, e ora e sempre *

nei secoli dei secoli. Amen.