Sabato della XXVII settimana del tempo ordinario
Lc 11,27-28
Nel bel mezzo della predicazione una donna prende il centro della scena, ha il coraggio di dare voce a ciò che sente
La sua esclamazione esprime certamente una grande ammirazione per il Signore, ma sembra avere anche un velo di rammarico. Quasi che avesse voluto essere lei, a fare da madre a Gesù.
Chissà che non trapeli la storia di una maternità ferita․․․ Non lo sapremo mai.
Quel che è certo è che parla secondo la vecchia logica del sangue, ben lontana dalla novità di Gesù.
Quella stessa logica che ci porta a giudicare qualcuno solo a partire dai genitori o dall’ambiente da cui proviene, oppure a dire “Magari fossi nato in un altro posto”, “Magari avessi avuto genitori diversi, una storia diversa”.
Quella stessa logica secondo cui ci sono cose che non possono essere cambiate, dei limiti davanti ai quali possiamo vivere solo di rimpianti, lamenti e rimorsi.
Gesù lo dice chiaro: non sei di chi sei figlio, non sei il posto da cui provieni, non appartieni al tuo passato․․․ la tua storia non ti determina in maniera definitiva e univoca, né nel bene né nel male.
Non importa quale sia il passato tuo o della tua famiglia: puoi essere felice, beato, a patto che ascolti e custodisci la Parola di Dio.
Di contro non c’è nessun legame di sangue, nessuna storia vissuta, nessuna esperienza fatta, nessun ricordo bello che possa darci pienezza, se perdiamo oggi quella relazione intima con la sua Parola.
Il Signore non ci sta promettendo che saremo felici se rispetteremo questa o quella regoletta presente nel Vangelo; si tratta di fare spazi nel cuore, creare tempi nella nostra vita frenetica․․․ spazi e tempi per entrare nella sua storia e fermarcisi, impregnarsi di essa: lasciarlo vivere in noi.
Dal Vangelo secondo Luca Lc 11,27-28
In quel tempo, mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!».
Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».