DIOCESI DI CALTANISSETTA

Dal Vangelo Gv.4,43-54 – “Prima che il mio bambino muoia”

Lunedì della IV settimana di Quaresima

“Prima che il mio bambino muoia”
Ha ragione Gesù:
“Se non vediamo segni non crediamo”.
Abbiamo bisogno di vederti vicino alle nostre difficoltà ,
seduto accanto ai nostri problemi,
sensibile alle nostre ansie.
Perché la nostra fede è fragile come un lume di candela.
Ma a volte i segni siamo noi che non li riconosciamo.
Li abbiamo sotto gli occhi,
ma non li vediamo.
I figli non sono forse “segno” dell’amore di Dio?.
Purtroppo oggi ci viene insegnato che il frutto del grembo può essere  soppresso a piacimento.
Ci viene detto che siamo frutto del caso,
una combinazione di cellule o poco più.
Ma il caso non esiste.
Non siamo frutto del caso,
ma dell’Amore,
anche se non lo si crede più.
Ai figli non viene più insegnato ad “amare” questo “Amore”.
E spiritualmente stanno morendo.
E questo non è certo un buon “segno”.
Per loro rivolgiamo a Gesù una preghiera:
“Gesù te li affidiamo tutti.possano un giorno scoprire il tuo amore,
e amarti”.

“Signore mio figlio muore”.
Si,
i nostri figli,
spesso nati da genitori “morti dentro” pure loro,
ricolmi di ogni cosa materiale,
stanno “spiritualmente” morendo.
Ma chi li porta più a Gesù,
perché li risani?
Tocca a noi,
che abbiamo sperimentato il suo amore,
farlo.
Farlo anche se non sono i nostri figli.
Farlo anche se non avessimo figli.
Perché questi “figli” sono il futuro che avanza,
fino a divenire il presente.
Tocca a noi,
e alla nostra povera,
umile,
stanca,
preghiera.

Dobbiamo pregare per i poveri figli di questa generazione.
Preghiamo perché scoprano l’amore di Dio e diventino a loro volta “segno”.
“Segno” dell’amore di Dio per i loro coetanei e per i loro genitori.
Che “credano loro con tutta la loro famiglia” e tutti i loro amici.

Preghiamo ancora per la pace
Troppi figli stanno morendo,
da una parte e dall’altra.
Troppi padri e troppe madre stanno piangendo,
a causa della morte dei loro figli.

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 4,43-54

In quel tempo, Gesù partì [dalla Samarìa] per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire.
Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino.
Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia.
Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.