Giovedì della II settimana di Pasqua
Sembra esserci una chiara divisione tra quello che appartiene alla terra e quello che appartiene al cielo.
Noi apparteniamo alla terra, e nel dire questo Giovanni fa riferimento alla Genesi, dove si racconta che l’uomo è creato dalla terra. Qui sta il punto: siamo creati, e portiamo i limiti insuperabili dell’essere creati. Non possiamo sapere tutto, né possiamo fare tutto. Nonostante i progressi stupefacenti dell’umanità, ci muoviamo all’interno di ciò che la natura umana permette. È per questo che sentiamo sempre un desiderio di “di più”.
Chi viene dal cielo è invece colui che non è costretto dai nostri limiti, e l’idea di abitare il cielo come un uccello ci dà un senso di libertà e di leggerezza. Eppure non esiste un cielo senza terra. Entrambi sono parte di un sistema in cui uno è parte dell’altro.
Se quindi l’uomo viene dalla terra e porta in sé il desiderio di liberarsi dal suo peso e appartenere al cielo, così Dio nel suo guardare all’uomo sente il desiderio di averlo con sé al punto da mandare Gesù. Lui è colui che unisce il cielo e la terra. Vivere come Gesù, il testimone del Padre, vuol dire portare la terra nel cielo, e fare del cielo e della terra una cosa sola.
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 3,31-36
Chi viene dall’alto, è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. Chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero. Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito.
Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.