Martedì della V settimana di Pasqua
La pace che ci porta Cristo non ha nulla a che fare con i cimiteri.
Nemmeno con l’assenza di conflitti. O con una vita (finalmente!)
senza problemi,
senza rompiscatole, senza traumi,
senza malattie,
senza dolori.
Non ci lascia in pace, il Signore.
Ci dona la sua pace, che è pienezza d’amore, di gioia, di felicità, di senso della vita.
Una pace che ci deriva dall’esperienza e dalla consapevolezza che il principe di questo mondo non può nulla contro di lui,
il Signore.
Gesù parla poco prima di essere arrestato e il lungo discorso riportato da Giovanni ci mostra tutta la sua umanissima tenerezza.
Andrà fino in fondo, dice,
amerà gli uomini fino a darsi totalmente, come gli ha chiesto il Padre.
E questo ci dona pace:
Dio ci ama fino a morirne,
Dio ci ama lasciandoci liberi di scegliere fra logica del mondo e logica del dono.
E quella che i discepoli stanno per vivere, un’apparente, traumatica fine di tutto, a guardarla meglio è la manifestazione della misura dell’amore di Dio per noi, per me.
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 14,27-31a
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.
Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il prìncipe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco».