Giovedì della II settimana del tempo ordinario
Hanno sentito parlare di un guaritore prodigioso.
E la sua fama ha superato i confini della Galilea: c’è chi giura di averlo visto ridonare la vita ad un cieco, e rialzare un paralitico.
E raccontano quanto dice di Dio, parlano delle sue parole che accarezzano, scuotono senza offendere, rianimano.
E di come parli di Dio come se lo conoscesse, come se lo vedesse faccia a faccia.
Allora partono, seguono una speranza, come facciamo noi, quando, sofferenti, abbiamo sentito parlare bene di un medico e siamo capaci di attraversare l’Italia per farci visitare.
E il desiderio di guarigione, di pace, di felicità, di salvezza è così forte che si gettano su di lui, letteralmente, anche solo per sfiorarlo.
Si lascia toccare, il Signore, si lascia abbracciare, ancora oggi.
Gettiamo in lui ogni nostra preoccupazione, affidiamogli ogni nostro cruccio, ogni nostro pensiero, ogni preoccupazione.
Abbiamo camminato tanto per raggiungerlo ma è qui, se lo vogliamo.
Dal Vangelo secondo Marco Mc 3,7-12
In quel tempo, Gesù, con i suoi discepoli si ritirò presso il mare e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme, dall’Idumea e da oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidòne, una grande folla, sentendo quanto faceva, andò da lui.
Allora egli disse ai suoi discepoli di tenergli pronta una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. Infatti aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male si gettavano su di lui per toccarlo.
Gli spiriti impuri, quando lo vedevano, cadevano ai suoi piedi e gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse.